L’olimpiade, Vienna, van Ghelen, 1733

 L’OLIMPIADE
 
 
    Dramma per musica da rappresentarsi nel giardino dell’imperial Favorita, festeggiandosi il felicissimo giorno natalizio della sacra cesarea e cattolica real maestà di Elisabetta Cristina, imperadrice regnante, per comando della sacra cesarea e cattolica real maestà di Carlo VI, imperadore de’ Romani sempre augusto, l’anno MDCCXXXIII.
    La poesia è del signor abbate Pietro Metastasio, poeta di sua maestà cesarea e cattolica. La musica è del signor Antonio Caldara, vicemaestro di cappella di sua maestà cesarea e cattolica.
    Vienna d’Austria, appresso Giovanni Pietro van Ghelen, stampatore di corte di sua maestà cesarea e regia cattolica.
 
 
 ARGOMENTO
 
    Nacquero a Clisthene re di Sicione due figliuoli gemelli, Filinto ed Aristea, ma avvertito dall’oracolo di Delfo del pericolo ch’ei correrebbe d’essere ucciso dal proprio figlio, per consiglio del medesimo oracolo, fece esporre il primo e conservò la seconda. Cresciuta questa in età ed in bellezza fu amata da Megacle, nobile e valoroso giovane ateniese, più volte vincitore ne’ giuochi olimpici. Questi non potendo ottenerla dal padre, a cui era odioso il nome ateniese, va disperato in Creta. Quivi assalito e quasi oppresso da masnadieri, è conservato in vita da Licida, creduto figlio del re dell’isola, onde contrae tenera ed indissolubile amistà col suo liberatore. Avea Licida lungamente amata Argene, nobil dama cretense, e promessale occultamente fede di sposo. Ma scoperto il suo amore, il re risoluto di non permettere queste nozze ineguali perseguitò di tal sorte la sventurata Argene che si vide costretta ad abbandonar la patria e fuggirsene sconosciuta nelle campagne d’Elide, dove sotto nome di Licori ed in abito di pastorella visse nascosta a’ risentimenti de’ suoi congiunti ed alle violenze del suo sovrano. Rimase Licida inconsolabile per la fuga della sua Argene; e dopo qualche tempo, per distrarsi dalla sua mestizia, risolse di portarsi in Elide e trovarsi presente alla solennità de’ giuochi olimpici che, ivi col concorso di tutta la Grecia, dopo ogni quarto anno si ripetevano. Andovvi, lasciando Megacle in Creta; e trovò che il re Clisthene eletto a presiedere a’ giuochi suddetti, e perciò condottosi da Sicione in Elide, proponeva la propria figlia Aristea in premio al vincitore. La vide Licida, l’ammirò ed obbliate le sventure de’ suoi primi amori ardentemente se ne invaghì; ma disperando di poter conquistarla, per non esser egli punto addestrato agli atletici esercizi di cui dovea farsi pruova ne’ detti giuochi, immaginò come supplire con l’artificio al difetto dell’esperienza. Si sovvenne che l’amico era stato più volte vincitore in somiglianti contese; e, nulla sapendo degli antichi amori di Megacle con Aristea, risolse di valersi di lui, facendolo combattere sotto il finto nome di Licida. Venne dunque anche Megacle in Elide alle violenti istanze dell’amico; ma fu così tardo il suo arrivo che già l’impaziente Licida ne disperava. Da questo punto prende il suo principio la rappresentazione del presente drammatico componimento. Il termine o sia la principale azzione di esso è il ritrovamento di quel Filinto, per le minacce degli oracoli fatto esporre bambino dal proprio padre Clisthene; ed a questo termine insensibilmente conducono le amorose smanie di Aristea, l’eroica amicizia di Megacle, l’incostanza ed i furori di Licida, e la generosa pietà della fedelissima Argene (Herodotus, Pausanias, Natalis Comes, eccetera).
 
 
 ATTORI
 
 CLISTHENE re di Sicione, padre d’Aristea
 ARISTEA sua figlia, amante di Megacle
 ARGENE dama cretense in abito di pastorella sotto nome di Licori, amante di Licida
 LICIDA creduto figlio del re di Creta, amante d’Aristea ed amico di Megacle
 MEGACLE amante d’Aristea ed amico di Licida
 AMINTA aio di Licida
 ALCANDRO confidente di Clisthene
 
 Coro di pastori e ninfe, coro di atleti, coro di sacerdoti
 
    Comparse di guardie greche con Clisthene, di paggi e cavalieri con Aristea, di ninfe e pastori con Argene, di sacerdoti con Licida, di atleti con Megacle
 
    La scena si finge nelle campagne d’Elide, vicine alla città d’Olimpia alle sponde del fiume Alfeo.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Fondo selvoso di cupa ed angusta valle, adombrata dall’alto da grandi alberi che giungono ad intrecciare i rami dall’uno all’altro colle, fra’ quali è chiusa.
    Vasta campagna alle falde d’un monte sparsa di capanne pastorali. Ponte rustico sul fiume Alfeo, composto di tronchi d’alberi, rozzamente commessi. Veduta della città d’Olimpia in lontano interrotta da poche piante che adornano la pianura ma non l’ingombrano.
    Bipartita che si forma dalle ruine di un antico ippodromo, già ricoperte in gran parte d’edera, di spini e d’altre piante selvagge.
    Aspetto esteriore del gran tempio di Giove Olimpico, dal quale si discende per lunga e magnifica scala, divisa in diversi piani. Piazza innanzi al medesimo con ara ardente nel mezzo.
    Bosco all’intorno de’ sacri ulivi silvestri, donde formavansi le corone per gli atleti vincitori.
    Le suddette scene furono rara invenzione del signor Giuseppe Galli Bibiena, primo ingegniere teatrale ed architetto di sua maestà cesarea e cattolica.
 
 
 BALLI
 
    Nell’atto primo di ninfe insidiate da satiri e difese da pastori.
    Nell’atto secondo di cacciatori e cacciatrici.
    Nell’atto terzo di dame greche del seguito d’Aristea e di atleti olimpici.
    I suddetti balli furono vagamente concertati dal signor Alessandro Phillebois, maestro di ballo di sua maestà cesarea e cattolica, con l’arie per i suddetti balli del signor Niccola Matteis, direttore della musica instrumentale di sua maestà cesarea e cattolica.